Menu principale:
Estratto dalla prefazione di Mario De Rossa
Manuela Mazzi affida ai ricordi di suo papà, solo di qualche anno più giovane di me, la descrizione di un mondo agricolo finito per sempre.
Sono quei ricordi di prima mano che rendono sapido il racconto, che costituisce una valida testimonianza, ma anche un documento di innegabile valore storico, sulla vita nelle nostre valli, non così lontana nel tempo: infatti, solo due generazioni ci separano da allora.
Mi auguro che Di brogli, di risate e di altre storie possa trovare l’accoglienza che si merita sia fra i giovani, sia fra coloro che hanno già i capelli grigi, perché ai primi sveli una storia sconosciuta e irripetibile e agli altri consenta di rivivere, magari con un po’ di nostalgia, ma senza rimpianti, alcuni momenti della loro vita passata.
Estratto dalla premessa dell’autrice: «Ai miei tempi…»
Ho scoperto che, al di là del rimprovero, nell’espressione «Ai miei tempi…» si nasconde anche un mondo pieno di spregiudicatezza. Un insieme di avventure che, in un certo senso, potrebbe far rimpiangere quelli che alcuni chiamano appunto i «vecchi tempi», soprattutto ai giovani, quelli che, come me, probabilmente ignorano molti aspetti goliardici di un mondo ormai scomparso. Dopo tanto immutato modo di vivere, infatti, negli ultimi cinquant’anni la realtà è cambiata così velocemente e così profondamente, che il passato recente è andato a svanire nei puntini sospensivi di una frase ridondante come quella che dà il titolo a questa premessa: «Ai miei tempi…». Ma a volte il destino ci viene in aiuto proprio per non dimenticare e trasforma momenti qualsiasi in occasioni imperdibili. Come quando iniziai a trascorrere diverse ore con mio padre – solitamente taciturno ed essenziale – fra chiacchiere e ricordi. Ho così avuto modo di scoprire che, forse, «Ai nostri tempi, certe avventure non possiamo più neppure sognarcele».
Chi sia davvero mio padre in realtà non ha importanza, perché come lui ce ne sono molti altri. Le sue sono storie di genti e di paese. Storie di piccoli brogli e grandi risate. Storie per sorridere o anche solo per trascorrere qualche ora tra avventure e vicissitudini. Storie da rivivere e storie per non dimenticare. Storie che lascerò raccontare a lui, in prima persona, conservando persino qualche termine dialettale, senza intervenire – se non con piccolissime incursioni – per non guastare l’autenticità dello spirito con cui sono state vissute. Un’autenticità narrativa, che sarà avvalorata e rafforzata anche e soprattutto dai suoi brevi temi scolastici, ritrovati in soffitta e spolverati per l’occasione: pagine ingiallite dal tempo, ma non scolorite nei contenuti.
Contenuto
Il libro contiene più di un centinaio di narrazioni su vita e personaggi della valle raccontati dal papà dell’autrice in due momenti distanti tra loro più di 50 anni. Più precisamente vi sono riportati i temi scolastici di quando, nell’immediato secondo dopoguerra, il Giacomo Mazzi era Giacomino e aveva tra gli 8 e i 12 anni. In questi testi si scorge l’esplorazione e la scoperta del mondo attraverso gli occhi pieni di meraviglia e l’anima ricca di una certa innata filosofia contadina. Allo stesso tempo nel libro si trovano i ricordi di quando, molto più tardi, non sarà più il piccolo Giacomino, ma l’uomo adulto Giacomo Mazzi, a parlare di quegli anni pieni di speranza e voglia di crescita in un contesto in pieno rinnovamento, che lui descrive mantenendo ancora oggi uno sguardo ricolmo di genuina innocenza con cui ha vissuto quella sua lontana infanzia.
Percorso didattico
Mancanza di colloquio con genitori e/o adulti in genere (anche insegnanti), rispettivamente il riallacciamento del rapporto tra padre e figlia attraverso i racconti.
Attaccamento alla famiglia, alle sue imposizioni e tradizioni.
La funzione degli anziani nella società.
La scuola ieri e oggi.
Difficoltà e conquiste dell’adolescente condivise con i compagni di scuola.
Importanza dell’amicizia e della scelta di una figura positiva in cui riporla, vista la ten¬denza dell’adolescente a imitarne il comportamento (come il fumare).
L’emigrazione come fenomeno sociale ricorrente nel tempo, ma anche il contrabbando.
Il secondo dopoguerra e la vita vissuta in quei microcosmi che erano i villaggi di montagna, i quali si erano chiusi su se stessi dopo l’apertura dovuta all’emigrazione che, dal Seicento sino agli inizi del Novecento, aveva consentito a gente vallerana di aprire gli occhi su un mondo diverso e più ampio.
I mestieri di montagna: pastori, contadini, raccoglitori di castagne,taglialegna…
Nelle valli arrivano le prime strade e le prime auto, che migliorano le vie di comunicazione e di trasporto verso le pianure, dove si assiste a uno sviluppo interessante per molta gente che vive nelle realtà rurali.
L’inizio della crisi che vivrà la montagna, a causa del suo spopolamento, l’abbandono dell’Arco alpino nel secondo dopoguerra, lasciato in mano solo a pochi anziani, l’ultima gente di montagna, mentre la nuova generazione scendeva in città trasformandosi in anonimi abitatori delle realtà urbane. Vengono quindi ridotte o cessate le attività agricole e inizia dapprima il pendolarismo verso le città e infine l’abbandono del proprio paese.